Un mercato non è solo un mercato
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SCHEDA

“un mercato non è solo un mercato”
Mercati Rionali: dalla difesa al rilancio di un patrimonio collettivo

Rilancio dei mercati: l’interesse pubblico e le proposte private

«Un mercato rionale non è solo un mercato». Il titolo che abbiamo scelto vuole affermare con forza che il mercato non è uno spazio come gli altri, un’area funzionale all’uso che se ne fa o una risorsa da sfruttare per spremerne ricavi. È un punto di incontro, una piazza pubblica, un luogo reale e simbolico allo stesso tempo: uno dei pochi spazi pubblici rimasti in tutte le zone di Roma. Se si escludono le chiese e le infrastrutture di servizio, i mercati sono di fatto gli unici luoghi “laici” aperti a tutti, di proprietà pubblica. Un luogo con un’anima, che va trattata con delicatezza, pena la sua distruzione e trasformazione in uno dei tanti luoghi anonimi, brutta copia di supermercati e centri commerciali.
L’impegno che abbiamo dedicato ai mercati rionali rientra nella nostra battaglia per la difesa dell’interesse pubblico e del nostro patrimonio collettivo, e non solo dal punto di vista economico. In questo senso la questione dei mercati rionali è l’ennesima declinazione di una delle problematiche più rilevanti che stiamo vivendo da tempo in questa città (e nel Paese). La progressiva erosione, pezzo dopo pezzo, dell’eredità lasciataci da chi ci ha preceduto: ogni mattone, ogni albero dei parchi, ogni scuola e ogni mercato pubblico sono stati acquistati, piantati o costruiti grazie al lavoro dei nostri genitori e nonni, e noi dovremmo tramandarlo a chi vivrà in questa città dopo di noi. Ma questo patrimonio va restringendosi ogni giorno di più, come il “regno di Fantàsia” del film La Storia Infinita, accampando tre giustificazioni:
IL DEBITO PUBBLICO, nazionale o locale. Anziché ottimizzare la gestione amministrativa, ridurre gli sprechi e soprattutto tagliare i costi della corruzione e della evasione fiscale, si ripianano i conti pubblici vendendo o svendendo beni collettivi;
LA MANCANZA DI FONDI, per mantenere immobili e spazi, o DI INVESTIMENTI, per supportare e rilanciare le attività che vi si svolgono. Nel calderone finisce tutto, anche manufatti e strutture che richiederebbero interventi poco impegnativi;
LA DIFFICOLTÀ DI GESTIONE, dando per scontato che l’Amministrazione pubblica non sia in grado di far funzionare adeguatamente i servizi o di gestire con efficienza i rapporti con terzi, e dando anche per scontato che un privato – o una SpA – sia invece un soggetto agile e scattante, con “mani libere” che garantiscono l’ottimale funzionamento o messa a reddito della “macchina”. Fingendo di ignorare che le finalità dell’Amministrazione pubblica – l’interesse collettivo – raramente possono coincidere tout court con la – sacrosanta – finalità del privato, il profitto.
Nella maggior parte dei casi questo passaggio dal pubblico al privato avviene con il famoso principio di Noam Chomsky della “rana nell’acqua bollente”1: per passaggi progressivi e parziali, come fossero disposte lungo un asse inclinato, le decisioni “scivolano” dal punto più alto – inteso come spazio di proprietà pubblica, gestito dall’Amministrazione pubblica, con finalità pubbliche – fino all’arrivo in mani private – in virtù di affidamenti di gestione e di trasformazioni d’uso in qualcos’altro – passando attraverso tappe intermedie delle società miste pubblico/privato.
E tutto questo avviene in genere con scarsa trasparenza e nessuna informazione dell’opinione pubblica – se le operazioni non vanno a toccare interessi di qualche categoria specifica o di qualche gruppo di residenti nessuno se ne accorge – e soprattutto senza che nessuno tiri mai una riga – prima o dopo – e faccia i conti dei vantaggi e degli svantaggi (o costi/benefici) per l’interesse pubblico delle operazioni.

Anna Maria Bianchi