oggiscienza.itAllattamento: i prodotti per aumentare il latte servono davvero?
GRAVIDANZA E DINTORNI Aiuto, ho poco latte. Nella variante: Il mio
latte non basta. Per le neomamme alle prese con lallattamento al
seno, una delle preoccupazioni peggiori è proprio questa:
che il loro latte sia insufficiente a nutrire il piccolo. Anzi,
spesso è proprio la convinzione di produrre poco latte a
spingere le mamme magari anche poco sostenute in famiglia (ma
cresce? Sei sicura? Ma non vedi che piange sempre?) ad abbandonare
lallattamento al seno. Per rimediare al problema, reale o
immaginario che sia, molte donne si rivolgono al medico, al
farmacista o allerborista, alla ricerca di prodotti con effetto
galattogogo, cioè in grado di dare una mano nella produzione
di latte. E il mercato risponde, affollandosi di tisane e
integratori fatti apposta per favorirne la fisiologica produzioneo
la secrezione. Finocchio, galega, cardo mariano, anice, fieno greco
i nomi più ricorrenti in questo settore. Ma che cosa
sappiamo della loro reale efficacia e sicurezza? A dire il vero non
molto, perché gli studi a disposizione sullargomento sono
pochi. Anzi, il problema riguarda anche i farmaci generalmente
indicati per le donne che hanno oggettivi problemi nella produzione
di latte. Spesso si tratta di mamme con neonati prematuri, che
utilizzano tiralatte o spremiture manuali del seno perché
non possono allattare direttamente i loro bimbi, e che si trovano
in difficoltà anche dopo aver messo in atto tutte le
possibili strategie non farmacologiche di sostegno allallattamento.
In questi casi, si può ricorrere a farmaci, in particolare
domperidone e metoclopramide: antivomito che agiscono come
antagonisti del neurotrasmettitore dopamina, a sua volta coinvolto
nella regolazione dei livelli di prolattina, il principale ormone
della lattazione. I dati più consistenti e coerenti tra loro
riguardano il domperidone e vengono da una manciata di studi che,
nel complesso, hanno coinvolto meno di 150 donne, in maggioranza
mamme di prematuri o che avevano partorito a termine con taglio
cesareo. Gli studi indicano una reale efficacia del farmaco come
galattogogo, almeno per queste categorie di donne, ma linvito
generale è alla cautela. Lamericana Academy of Breastfeeding
Medicine, per esempio, conclude che al momento non è in
grado di consigliare alcun galattogogo specifico, che si tratti di
farmaco (domperidone compreso), di agente fitoterapico o di
prodotto derboristeria. Più possibilista lUK Medicine
Information, un ramo del National Health Service inglese che si
occupa di fornire agli operatori sanitari informazioni
evidence-based sui farmaci. In un documento dellottobre 2014, il
servizio indica il domperidone come farmaco di prima scelta per i
casi reali di insufficiente produzione di latte (e solo se altri
approcci non hanno funzionato). Ma sottolinea che servono ulteriori
studi per determinare il dosaggio e la durata di trattamenti
ottimali. Meno certezze, invece, per la metoclopramide, considerato
che gli studi di nuovo, pochi danno risultati contrastanti. Se
questo è il quadro per i farmaci, ancora più nebuloso
è quello per i prodotti di uso comune, cosiddetti naturali:
tisane o capsule derboristeria o integratori alimentari. A volte
consigliati da medici e ostetriche, altre volte assunti in
modalità fai da te, magari dietro indicazione di un amica.
Capita a molte: un momento di stanchezza, il bambino che piange, la
sensazione che il latte non basti più. E allora via con
tisane di semi di finocchio o di anice oppure integratori a base di
fieno greco, galega o cardo mariano. Ma funzionano davvero? In un
convegno su allattamento e farmaci tenutosi di recente a Milano,
Franca Davanzo, direttore del Centro antiveleni dellospedale
Niguarda di Milano lha detto chiaro e tondo: Le prove scientifiche
sullefficacia di questi presunti galattogoghi sono molto limitate.
Esattamente quanto dichiarato anche dallAcademy of Breastfeeding
Medicine: I meccanismi dazione dei prodotti a base di erbe sono
sconosciuti e nella maggior parte dei casi questi prodotti non sono
mai stati valutati dal punto di vista scientifico. Quando ci sono,
gli studi riguardano campioni molto piccoli, non sono accurati
nella scelta dei controlli o degli obiettivi, spesso sono condotti
o sponsorizzati da ditte produttrici. Eppure prosegue lABM luso
tradizionale di alcune erbe suggerisce che potrebbero avere una
certa efficacia. Dunque colpo di scena? Non proprio. Se per
generazioni viene tramandato il suggerimento di utilizzare una
certa pianta per un certo effetto, è ragionevole pensare che
possa servire a qualcosa, ma questo non basta commenta Alfredo
Vannacci, ricercatore in farmacologia allUniversità di
Firenze ed esperto di fitoterapia e fitovigilanza. Un conto sono la
tradizione e laneddotica, un altro i risultati di studi clinici ben
fatti. Io devo poter dire che una certa erba o principio vegetale
funziona e in quali condizioni e a quali dosaggi non perché
una mia paziente lha provato e si è trovata bene (e
può anche succedere), ma perché ci sono trial clinici
indipendenti e rigorosi che lo attestano. Proprio quelli che
mancano al momento per qualunque galattogogo di origine vegetale.
È vero: spesso le donne che li utilizzano si dichiarano
soddisfatte, ma potrebbero esserci in ballo leffetto placebo e la
rassicurazione psicologica. Condizioni che alcuni vedono
positivamente (se una tisana o un integratore aiutano la mamma
sentirsi più sicura, facilitando lallattamento,
perché no?) e altri negativamente (di fatto, questi
meccanismi darebbero ragione allinsicurezza della donna,
convincendola che da sola non ce la può fare). Resta il
fatto che se una mamma beve tisane o assume integratori convinta
che servano davvero, è giusto che sappia che almeno per il
momento certezze non ce ne sono. E che invecepotrebbero esserci
problemi di sicurezza. Cè lidea che vegetale coincida con
innocuo, ma non è così. I principi attivi delle
piante possono avere effetti collaterali importanti, e attraverso
il latte materno possono arrivare al bambino avverte Vannacci. La
questione non si pone tanto per gli integratori o le tisane che si
trovano in vendita nei canali ufficiali e che sono registrati
presso il Ministero della salute, sempre che se ne faccia un uso
sensato. Una o due tazze al giorno di una tisana per esempio al
finocchio forse servono a poco, ma di sicuro non fanno male. Il
discorso però cambia se se ne bevono due o tre litri
chiarisce lesperto. E il rischio aumenta in caso di produzioni fai
da te. Può capitare con donne di altre etnie o con
appassionate del mondo new age, che magari preparano in casa tisane
o decotti, con erbe raccolte nei campi racconta Vannacci. In questo
caso èimpossibile sapere quanto principio attivo finisce
nella tazza e, dunque, nella pancia del bambino: possono anche
essere quantità elevate, in grado di provocare problemi. Che
consigli dare, allora, alle donne che hanno (o pensano di avere)
poco latte per il loro bambino? La prima cosa da sapere è
chesolo pochissime mamme l1-2% del totale non possono allattare per
problemi anatomici dichiara la neonatologa Maria Enrica Bettinelli,
responsabile del settore materno infantile dellAsl di Milano e
consulente professionale in allattamento materno IBCLC. È
vero però che il latte può non arrivare nelle giuste
quantità o diminuire fino a scomparire se lallattamento non
viene avviato e mantenuto nel modo corretto. La produzione di latte
è un fenomeno fisiologico complesso, nel quale entrano in
gioco non solo stimoli ormonali, ma anche meccanismi locali legati
alla domanda da parte del bambino spiega Bettinelli. In pratica, il
latte viene prodotto on demand, quando il bambino si attacca e
succhia. Meno lo fa, meno latte si produce chiarisce lesperta. Non
solo: se il bambino salta delle poppate, il poco latte che
cè si accumula, mandando al corpo della mamma il segnale che
non ne serve altro, con ulteriore inibizione della sua produzione.
Da qui linsistenza degli esperti sullallattamento a richiesta,
cioè ogni volta che il bambino lo chiede nel caso dei
neonati questo può succedere molto spesso, anche 8-12 volte
al giorno e non a orari prestabiliti. E sullimportanza di un
attacco corretto del piccolo al seno (con la bocca aperta, in grado
di prendere non solo il capezzolo ma anche buona parte dellareola,
e con il mento a contatto con la mammella). Un buon attacco
garantisce che il bambino succhi quantità adeguate di latte
e riduce il rischio di problemi alla mammella, come le ragadi
precisa Bettinelli. Il momento migliore per ottenere un attacco
corretto? Quello in cui il piccolo comincia a mostrare i primi
segni di fame apre la bocca, gira la testa di lato, si porta le
mani alla bocca ma non è ancora disperato. Pr i primi mesi
linvito è anche a evitare aggiunte di acqua o altri liquidi
come la camomilla: neonati e lattanti non hanno bisogno di bere e
queste abitudine interferiscono con il meccanismo di produzione del
latte. Sembrano indicazioni facili, ma non è detto che tutto
fili liscio. Molte mamme sperimentano lansia di non farcela e a
volte il problema è reale. I segnali che cè qualcosa
che non va sono chiari e precisi: il bambino produce poca urina o
poche feci, non cresce proprio o addirittura cala di peso (i
dettagli si possono leggere nel dossier Allattamento al seno: tra
arte, scienza e natura, del Ministero della salute). In questi
casi, prima di andare nel panico e magari assumere prodotti a caso,
meglio consultarsi con personale esperto in allattamento. Ci si
può rivolgere al consultorio, oppure alla Leche League o ai
consulenti professionali IBCLC (in questi casi la consulenza
può essere a pagamento). Leggi anche: Notti più buie
per migliorare la fertilità Pubblicato con licenza Creative
Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia. Credit
immagine: David Leo Veksler / Flickr Condividi su: Condividi su
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