astrolabio.itRidurre Non Basta PiĆ¹. Occorre Riassorbire
hi Palazzi The Economist rivela un problema serio passato sotto
silenzio nellultima Conferenza delle parti sui Cambiamenti
Climatici, svoltasi a Bonn lo scorso novembre. Secondo i modelli
previsionali dellIPCC, ridurre le emissioni di gas a effetto serra
non sarebbe più sufficiente a raggiungere gli obiettivi
indicati dagli accordi di Parigi. Tra i molti commenti sugli esiti
della COP23 a Bonn meritano attenzione due articoli comparsi su The
Economist il 18 novembre. Il primo, editoriale delledizione, dal
significativo titolo What they dont tell you (Quel che non vi viene
detto), riportato in copertina, riassume temi che vengono poi
più attentamente esaminati nel secondo, intitolato Sucking
up carbon (Riassorbire il carbonio). Secondo Quel che non vi viene
detto, un certo atteggiamento auto-congratulatorio, la polemica nei
confronti dellAmministrazione USA, i difficili negoziati per
definire gli aspetti tecnici irrisolti degli impegni assunti a
Parigi in sede di COP21 e quelli relativi al finanziamento del
Green Climate Fund per aiutare i Paesi più poveri, hanno
consentito alla COP23 di passare sotto silenzio e non affrontare un
problema fondamentale: 101 dei 116 modelli previsionali utilizzati
dallo IPCC (Intergovernmental Panel on Climatic Changes) indicano
che per contenere entro 2° laumento delle temperature entro il
2100, come previsto dagli Accordi di Parigi, non sarebbe
sufficiente ridurre drasticamente le emissioni gas ad effetto serra
che, comunque, non potranno mai essere eliminate del tutto. Per
centrare detto obiettivo e quello di zero emissioni nette entro il
2090, pure previsto dagli Accordi di Parigi, a partire dal 2040
circa si renderà necessario iniziare a riassorbire
dallatmosfera le emissioni residue non eliminabili nonché
parte dello stock di emissioni accumulatesi in precedenza. La
quantità è stimata in 810 miliardi di tonnellate
entro il 2100, pari a 20 anni delle emissioni antropogeniche
attuali. Si tratta di una quantità impressionante
(staggering). Porre in essere sistemi di cattura del carbonio delle
dimensioni richieste costituirebbe una sfida epica anche se
disponessimo di strumenti efficaci e collaudati, che oggi non
abbiamo. Il secondo articolo Riassorbire il carbonio passa in
rassegna gli strumenti possibili, ognuno dei quali presenta seri
problemi di attuazione, tecnici o economici. Facendo rinvio
allarticolo per una più completa trattazione, a seguito si
accenna ad alcuni di essi. La cattura diretta dallatmosfera
è praticata in alcuni settori limitati, ad esempio per la
produzione di 10 milioni di tonnellate di CO2 destinata alle bibite
gasate. Ma il costo attuale, $ 600 la tonnellata, la rende
proibitiva per 810 miliardi di tonnellate. La decantata CCS (Carbon
Capture and Sequestration) è ancora operativa solo su
piccola scala: tramite 17 impianti elimina 1 milione di tonnellate
annue. Inoltre, è molto onerosa e, comunque, riduce le nuove
emissioni, non cattura le esistenti. La BECCS - Bioenergy with
Carbon Capture and Sequestration (impianti termici a biomasse
accoppiati a CCS) consente di catturare CO2 a costi inferiori,
stimati tra $ 60 e $ 250 la tonnellata. Il problema è che
richiederebbe di rimboschire spazi molto vasti. Le stime oscillano
tra 3,2 e 9,7 milioni di Km2, pari, rispettivamente, al 23% e al
68% della superficie arabile della Terra. Ciò non è
compatibile con i pur notevoli progressi nelle rese dellagricoltura
moderna, già messa a prova dalle esigenze alimentari
crescenti di 7,5 miliardi di esseri umani e dallaumento imminente
di circa 2 miliardi di nuove bocche da sfamare, per non parlare dei
problemi ecologici e di biodiversità conseguenti a
forestazioni di tali dimensioni. Mutamenti nelle pratiche
agronomiche, come ad esempio eliminare le arature profonde per
consentire ai suoli di accumulare carbonio, sono possibili ed
economiche, ma secondo gli esperti non sarebbero neppure
sufficienti a compensare le emissioni del settore. Larticolo
menziona anche alcune soluzioni di geoingegneria che
tradizionalmente gli ecologisti vedono con apprensione sia per le
conseguenze possibili che nel timore che diventino scorciatoie per
eludere il problema della riduzione delle emissioni. Si tratta di
proposte note e meno note, quali - raffreddare la Terra immettendo
in atmosfera gas che riflettano la luce solare, - modificare
lalcalinità degli oceani affinché assorbano
più CO2, - il weathering che consisterebbe nellaccelerare da
tempi geologici a pochi anni il processo di formazione di rocce
contenenti carbonio (ma ciò richiederebbe di spargere in
mare e in terra dalle 2 alle 4 tonnellate di silicati finemente
macinati per ogni tonnellata di carbonio da eliminare, date le
dimensioni del problema, unautentica impresa tecnica e logistica).
A fronte di un quadro tecnico ben poco incoraggiante che non
consente ancora di intravedere soluzioni vincenti, la rivista
raccomanda di aumentare le ricerche su ogni possibile NET Negative
Emissions Technology e lamenta il fatto che tali ricerche siano
finanziate in misura del tutto inadeguata. Al riguardo cita il
Prof. Massimo Tavoni del Politecnico di Milano, vice coordinatore
del programma di ricerca sui cambiamenti climatici e lo sviluppo
sostenibile della Fondazione ENI Enrico Mattei, il quale ha stimato
in $ 65 miliardi la spesa annua che si renderà necessaria di
qui al 2050 in ricerca e sviluppo a fronte di tutte le tecnologie
low carbon. Secondo il Prof. Tavoni una parte di tali risorse
dovrebbe essere destinata alle tecnologie NET che ora ricevono poco
o nulla. Se le considerazioni svolte da The Economist non sono
infondate, gli obiettivi previsti dagli Accordi di Parigi non sono
raggiungibili soltanto mediante misure di riduzione delle
emissioni. Sarà quindi indispensabile iniziare a
riorientare, fin dai prossimi anni, buona parte degli sforzi di
ricerca e sviluppo in favore delle tecnologie NET. Se le stime del
Prof. Tavoni sono attendibili come ordine di grandezza, linsieme
delle risorse necessarie per la riduzione e per il riassorbimento
delle emissioni porrà anche una sfida finanziaria di tutto
rispetto sotto il profilo quantitativo e probabilmente anche sotto
quello della distribuzione equitativa degli oneri tra Paesi
sviluppati, responsabili della maggior parte delle emissioni
passate, e i Paesi in via di sviluppo, responsabili del 60% circa
delle emissioni attuali e di percentuali ancora maggiori nel
prossimo futuro.