astrolabio.itL’ETS nella SEN
gime Gerbeti* Il sistema di scambio di quote di emissione europeo,
ETS, non è stato almeno sino ad oggi allaltezza delle
aspettative. Tale inadeguatezza è imputata, anche dalla
Strategia energetica Nazionale, al prezzo troppo basso delle quote
di emissione, tale da non incentivare investimenti in tecnologie
low-carbon. La stesura definitiva della SEN rinuncia però a
perseguire nuove strade di carbon pricing. La Strategia Energetica
Nazionale 2017, adottata con D.M. del 10 novembre 2017, nel
definire gli scenari a livello europeo del sistema energetico,
registra che «La crescita delle rinnovabili avverrebbe
sostanzialmente spiazzando principalmente la produzione a gas, dal
momento che lETS non sarebbe in grado di determinare la minore
convenienza del carbone». Dunque, al di là
dellefficacia ambientale dellETS, il differenziale tra i prezzi del
carbone e del gas porterebbe a privilegiare il primo combustibile a
discapito del secondo anche a prezzi della CO2 di gran lunga
superiori a quelli comunemente ritenuti incentivanti tecnologie low
carbon (25-30 ¬/Ton). Infatti, sempre la SEN 2017 rileva che il
prezzo della CO2 negli scenari europei al 2030, a seconda del
target di efficienza energetica assunto come ipotesi (dal 27%
allipotesi massima del 40%), varia da 42 a 14 ¬/ton. Ebbene,
gli stessi scenari con i diversi prezzi della CO2 prefigurano un
mix energetico in cui la generazione elettrica a carbone rimane
pressoché costante (dal 13,8% con il prezzo della CO2 a 42
¬, al 15,1% con il prezzo a 14¬), mentre scende
vertiginosamente la quota di gas naturale (dal 15,1% al 9,2%).
Inoltre, laumento del prezzo delle quote di emissioni renderebbe
ancor meno competitive sul mercato le produzioni europee, a
vantaggio di quelle che fanno ricorso alle fonti energetiche
più emissive. La conseguenza possibile è la
delocalizzazione in paesi extra UE delle industrie energivore e la
maggiore competitività nello stesso mercato europeo delle
produzioni di quei paesi. La ragione dellinefficacia dellETS sta
nellessere questo un mercato artificiale limitato ai confini di una
sola delle potenze industriali del pianeta. E a nulla
inciderà, sul breve e medio periodo, il nascente mercato
cinese. Se aumenterà il prezzo delle quote di emissione e
quando verrà definitivamente abbandonata la pratica delle
assegnazioni gratuite il sistema opererà come incentivo a
varcare quei confini ed a spostare le produzioni ove è
possibile fare ricorso a fonti energetiche emissive, ma meno
costose, senza dovere pagare ulteriori oneri ambientali. Di
più, nello stesso mercato europeo saranno sempre più
competitive le produzioni extra UE, che non dovranno scontare i
costi di mix energetici più virtuosi, con la conseguenza che
i consumatori europei finanzieranno le produzioni più
emissive. Questa evidenza dovrebbe indurre così come
suggeriva il documento di consultazione della SEN 2017- a
ridiscutere lETS in ambito europeo «prendendo in
considerazione anche misure di carbon pricing» (passaggio
però cassato dalla stesura definitiva). La letteratura
scientifica ha proposto soluzioni di fiscalità ambientale
diverse, non necessariamente alternative allETS, che potrebbero
anzi essere complementari allo stesso, correggendone le storture.
Tra i Paesi che si sono mossi verso queste soluzioni spicca il
Regno Unito, che ha introdotto un prezzo minimo della CO2 con
traiettoria crescente ed un livello massimo di emissione per KWh
elettrico prodotto (Emission Performance Standard EPS) di
450grCO2/KWh per nuovi impianti. Ciò ha incentivato il
passaggio dal carbone al gas nella generazione elettrica e ridotto
drasticamente le emissioni di CO2. Altra soluzione possibile
è fare del mercato europeo oggi il primo mercato importatore
al mondo e della competizione nello stesso, lincentivo alladozione
su scala globale di tecnologie low-carbon. Ciò avverrebbe se
lEuropa adottasse unimposta sulle emissioni aggiunte (ImEA)
applicata cioè al bene, ovunque esso sia stato prodotto,
sulla base del suo contenuto di carbonio. Il vantaggio di questa
imposta è che, a differenza della classica carbon tax, non
grava sulla produzione (non è quindi limitata alle imprese
del Paese impositore, con leffetto di delocalizzazione e di
asimmetria competitiva di cui si è detto), ma sul consumo.
La Commissione Europea ha previsto la definizione e lapprovazione
entro il 2018 dei Piani nazionali energia e clima dei singoli Stati
membri, al fine di rendere coerenti gli obiettivi di riduzione
delle emissioni di gas climalteranti e quelli per lefficienza e le
rinnovabili con gli impegni assunti con laccordo di Parigi. Lanno
che stiamo vivendo è, quindi, cruciale per ladozione di
misure che consentano di superare i paradossi che pur con le
migliori intenzioni- hanno caratterizzato le politiche ambientali
europee. *Francesco Scalia Docente nellUniversità di Cassino
e Agime Gerbeti, Docente nellUniversità di Roma, Lumsa