oggiscienza.itPer non tornare al buio. Conversazione con Livia Turco su aborto e legge 194
Crediti immagine: Antonella Beccaria/Flickr APPROFONDIMENTO Da
quarantanni cè nel nostro paese una legge buona, nel senso
di legge che funziona e che raggiunge gli obiettivi che erano stati
previsti quando è stata approvata: la legge 194 del 1978
sullaborto. O meglio, come recita il testo, su tutela sociale della
maternità, riconoscimento del diritto alla vita e
interruzione volontaria della gravidanza. Eppure da quarantanni
questa legge è perennemente sotto attacco, tra chiari
tentativi di riforma e depotenziamenti più o meno
consapevoli dellapparato organizzativo necessario alla sua piena
applicazione, dai consultori al personale medico non obiettore.
Così, se con la sua approvazione si è accesa una luce
potente sui temi della libera scelta, dellautodeterminazione
femminile, della procreazione cosciente e responsabile,
periodicamente corriamo il rischio che quella luce si spenga e che
le donne di questo paese si trovino costrette a tornare nel buio
feroce della mancanza di diritti e dellaborto clandestino. Proprio
Per non tornare al buio si intitola il libro su 194 e obiezione di
coscienza che Livia Turco, a lungo parlamentare, ministra della
Salute del Governo Prodi (2006-2008), presidentessa della
Fondazione Nilde Iotti, ha scritto un paio danni fa con la
giornalista Chiara Micali. E che oggi, nel pieno di vicende come
lapprovazione da parte del consiglio comunale di Verona di una
delibera che consente il finanziamento pubblico di associazioni di
volontariato cosiddette provita (OggiScienza ne ha parlato qui),
abbiamo ripreso in mano per tornare a discuterne con lautrice.
Onorevole Turco, lei dedica una parte importante del libro alla
ricostruzione del percorso che ha portato allapprovazione della
legge 194. Quali sono stati gli elementi fondamentali che hanno
contribuito a quel risultato? Il punto di partenza è stata
la consapevolezza diffusa della piaga dellaborto clandestino,
dietro la quale oltre alle sofferenze delle donne si nascondevano
gravissimi fatti di speculazione morale e finanziaria. Rileggendo
gli atti parlamentari dellepoca colpisce molto la forza con la
quale emergeva lattenzione su quel tema, che è stato al
centro anche di iniziative giornalistiche come una potente
inchiesta sul dramma segreto delle donne pubblicata nel 1961 da Noi
donne, giornale dellassociazione femminile Udi. Su questo dato di
realtà hanno poi lavorato vari elementi, come limponente
mobilitazione culturale e sociale guidata dal movimento femminista,
che per la prima volta in Italia ha esercitato così tanta
pressione sul legislatore. Altre leggi precedenti pure importanti
per le donne, come la riforma del diritto di famiglia del 1975 (che
per esempio sancisce il superamento della potestà maritale a
favore delluguaglianza tra coniugi, NdR) erano state approvate
più su spinta parlamentare, mentre i temi
dellautodeterminazione femminile, dei diritti legati al corpo delle
donne sono stati posti soprattutto dal femminismo, animando una
mobilitazione sociale che è arrivata a mettere in crisi il
Parlamento stesso. Ricordo bene, durante i lavori sulla legge, le
battaglie anche allinterno del Partito comunista su chi dovesse
avere la parola definitiva sulla scelta dellinterruzione di
gravidanza. Per i dirigenti (maschi) doveva spettare a una
commissione medica, ma per noi militanti donne dovevano essere
proprio le donne ad avere lultima parola. E forti della nostra
passione, dei nostri argomenti, della nostra unione e
determinazione vincemmo noi. Non solo: altro elemento fondamentale
è stato il dialogo franco e aperto che si è costruito
in Parlamento tra le diverse forze politiche pur su un tema
così divisivo. Un dialogo paradossalmente e drammaticamente
reso possibile da uno dei momenti più difficili della storia
del nostro paese. Eravamo in pieno terrorismo e il 1978 fu lanno
terribile del rapimento e delluccisione di Aldo Moro e degli uomini
della sua scorta. Momenti di dolore, angoscia, smarrimento, in cui
le forze politiche riuscirono a dialogare per dare al paese
grandissime leggi che mi piace definire le riforme della speranza:
la legge 194 sulla tutela della maternità e linterruzione
volontaria di gravidanza, la legge 833 che istitutiva il Servizio
sanitario nazionale universale e solidaristico, la legge 180 che
eliminava i manicomi. Infine, un ultimo elemento: la pressione
esercitata sul Parlamento dalliniziativa del Partito radicale, che
aveva proposto un referendum abrogativo del cosiddetto Codice Rocco
(il codice penale formulato nel 1930 che considerava laborto un
reato penale che rientrava tra i delitti contro lintegrità e
la sanità della stirpe, NdR). Uniniziativa malvista da altre
forze politiche perché, in caso di abrogazione effettiva,
avrebbe comunque lasciato il paese senza una regolamentazione in
merito. Lei come giudica la legge infine approvata? Saggia e
lungimirante perché si basa su un chiaro equilibrio di
valori: la tutela della salute della donna nella quale è
implicito il diritto allautodeterminazione la tutela della vita fin
dallinizio, ma anche la tutela sociale della maternità e
limportanza di scienza e coscienza medica. Che fosse una legge
saggia e lungimirante lo prova il fatto che ha funzionato,
nonostante non lo si riconosca mai perché in Italia abbiamo
la pessima abitudine di non valutare lesito delle leggi. Si temeva
che avrebbe banalizzato e promosso laborto, ma non è stato
così: i dati dicono e perfino i medici obiettori lo
riconoscono che al contrario ha drasticamente ridotto il ricorso
allaborto. Tanta mobilitazione, tanto impegno, tanto dialogo, ma
oggi rischiamo di tornare al buio. Perché? Perché
anche senza chiare riforme legislative la 194 può facilmente
essere svuotata del suo significato. Basti pensare alla questione
dellobiezione di coscienza, di cui il Ministero della salute offre
sempre una lettura molto rassicurante, sostenendo che i medici non
obiettori presenti sul territorio sono comunque sufficienti a
garantire il servizio. Ma io non sono affatto sicura che sia
così. La relazione annuale al Parlamento sullapplicazione
della legge 194 tiene conto solo delle interruzioni di gravidanza
effettivamente avvenute, non di quelle richieste. Non sappiamo
quante donne che si rivolgono ai servizi per uninterruzione di
gravidanza vengono di fatto respinte per la carenza di personale e
le lunghe liste dattesa, né dove si rivolgano allora queste
donne. Molti medici raccontano di trovarsi sempre più spesso
di fronte a donne che hanno esiti di aborti praticati male, non si
sa bene dove e da chi. Significa che lo spettro dellaborto
clandestino è ancora presente. E anche iniziative come
quelle di Verona rappresentano un chiaro esempio di svuotamento
della legge 194. Ora, io non ho nulla contro le volontarie e i
volontari che cercano un dialogo con le donne presso i servizi nel
tentativo di dissuaderle dallaborto, però un conto sono
appunto eventuali iniziative volontarie, altra cosa è
finanziarle con risorse pubbliche, che andrebbero invece usate per
avere cura della 194. Che cosa dovrebbe significare, concretamente,
avere cura della legge? Fare in modo che possa essere applicata
bene, e dunque: potenziamento dei consultori; promozione di una
procreazione cosciente e responsabile attraverso educazione alla
sessualità e gratuità della contraccezione almeno per
i giovani; regolamentazione dellobiezione di coscienza; formazione
dei nuovi ginecologi anche sul tema dellinterruzione di gravidanza,
trascuratissimo durante la specializzazione; modifica dei criteri
di utilizzo della pillola abortiva RU486, oggi troppo restrittivi
rispetto alle indicazioni previste dal farmaco stesso e a quanto
avviene in altri paesi. Ricordando che lutilizzo di RU486 non solo
non produce banalizzazione dellaborto (di nuovo, il suo arrivo sul
mercato non ha affatto comportato unimpennata di interruzioni) ma
per alcuni può anche essere disincentivante rispetto
allobiezione di coscienza. Infine, avere cura della 194 significa
anche sostenere concretamente la maternità (e la
paternità). Il che non ha niente a che vedere con i
volontari provita, ma riguarda invece la costruzione di una
società finalmente accogliente nei confronti dei figli che
nascono, con assegni familiari, asili nido accessibili a tutti
(immigrati compresi& è ripugnante sentire parlare di
servizi solo per italiani!), politiche di condivisione del lavoro
di cura tra uomini e donne, spazi cittadini in cui i bambini
possano giocare e stare insieme. Ma secondo lei perché siamo
stati così bravi 40 anni fa a fare una legge così
bella e lo siamo così poco oggi nel prendercene cura? Allora
siamo stati bravi perché la forte effervescenza sociale sul
tema dellaborto ha incontrato il fatto che in Parlamento sedevano
persone competenti, con una grande sensibilità sociale, un
forte senso della politica e una grande capacità di dialogo.
Mi dispiace dirlo, ma oggi non vedo altrettanta competenza, come
non vedo un reale impegno a favore dellapplicazione della legge. E
fuori dal Parlamento cè una forte mobilitazione contro
laborto, non soltanto da parte del tradizionale mondo cattolico,
mentre non cè ancora una mobilitazione altrettanto forte a
difesa di questo diritto. Come vede la mobilitazione femminile in
Italia in questo momento? Ci sono singole iniziative che
sicuramente apprezzo, ma dovrebbe esserci ancora più
consapevolezza, ancora più organizzazione. Servirebbero
azioni ancora più incisive e un salto di qualità
della mobilitazione sociale, non necessariamente mettendo al centro
del discorso solo laborto. Quali altri temi dovrebbero essere al
centro di questa mobilitazione? Intanto una buona e piena
occupazione femminile, anche per consentire ai giovani di avere i
figli che desiderano. Poi le politiche pubbliche di reale sostegno
a maternità e paternità. E naturalmente la lotta
contro ogni forma di violenza nei confronti delle donne. Segui
Valentina Murelli su Twitter Leggi anche: Le due Italie su donne,
aborto e contraccezione Pubblicato con licenza Creative Commons
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