astrolabio.itVerrà il Tempo della Durabilità e della Resilienza
Dal Vajont al Polcevera. Lingegneria italiana davanguardia,
lassunzione di responsabilità, e le tecnologie 5G
Maintenance lacks the glamour of innovation ha scritto [1] The
Economist il 20 ottobre 2018 in un articolo dedicato al disastro di
Genova. Spiegando che è talmente complesso valutare il costo
equo quello cioè risultante da un problematico bilanciamento
tra degrado e funzionalità - di mantenimento degli asset
infrastrutturali della intera collettività, che il
più diffuso indicatore statistico economico del mondo, il
PIL, viene appunto stimato al lordo del loro deterioramento,
cioè degli ammortamenti. E concludendo con la presa datto
che oggi, in a disposable society, to repair is to rebel. Eppure
questa problematica cruciale per il futuro emersa a Genova con
drammatica evidenza, la necessità cioè di radicare e
diffondere una cultura - teoria e prassi - della manutenzione
dellesistente, a me sembra possa essere declinata, e proprio in
primis in Italia, in chiave positiva. Ma a due condizioni. Una
tecnologica, e una di contesto. La condizione tecnologica La prima
condizione è tecnologica: coniugare le migliori tecniche
delle manutenzioni con quelle dellICT e del 5G, incorporando
cioè e implementando ogni utile innovazione nella
diagnostica e nel monitoraggio di strutture e infrastrutture.
Assicurare maggiore longevità in sicurezza contribuendo al
mantenimento del valore del grande patrimonio infrastrutturale
italiano sarebbe il modo più lungimirante e produttivo per
conferire, per dirla ancora con The Economist, glamour alle
manutenzioni. Un qualunque bene materiale, in assenza di cura,
degrada infatti nel tempo fino a chiudere il suo ciclo di vita
più o meno rapidamente. Lobiettivo di mantenerne accettabili
le prestazioni viene perseguito con quelle che chiamiamo
manutenzioni: la cui nomenclatura e classificazione (se ne contano
oltre venti!) è assai vasta, regolata da molte fin troppe -
norme, insomma complicata e talvolta fuorviante. Anche i recenti
aggiornamenti [2] delle Norme Tecniche per le Costruzioni NTC 2018
non migliorano la chiarezza al riguardo. Sta di fatto che, pur
prendendosene cura, la vita cosiddetta nominale di progetto di un
asset infrastrutturale, cioè il tempo oltre il quale
nonostante le manutenzioni esso giunge a fine vita tecnica, dipende
insieme dal tasso di manutenzione (che per semplicità
intenderemo qui ordinaria) e dal livello di rischio accettabile
(corrispondente a un degrado non ancora totale ma tale da
comportare livelli prestazionali insufficienti). Le variabili
strategiche del problema in fondo non sono molte: cè un
costo di costruzione C; cè una vita minima N in assenza di
manutenzioni (ovviamente più che altro ipotetica e pertanto
convenzionale); cè di conseguenza un degrado fisiologico
annuo C/N del bene in assenza di manutenzioni (il degrado risulta
quasi sempre crescente nel tempo: ma se ne può considerare,
semplificando, un ordine di grandezza costante pari al valore
medio); cè una spesa annua per manutenzione S cui
corrisponde una sorta di recupero parziale del degrado, esprimibile
come percentuale m di C/N. Se ogni anno il recupero fosse totale (m
= 1 = C/N), la vita N del bene sarebbe teoricamente infinita. In un
siffatto modello semplificato la strategia di manutenzione deve
soltanto stabilire lentità del recupero m* ottimale. Il
quale in base a fattori esogeni potrebbe risultare tanto più
grande quanto lopera è strategica (quando cioè non si
intravvedano ragioni perché non debba servire tal quale
anche a lunghissimo termine); in base a fattori endogeni o
arbitrari il recupero ottimale m* potrebbe invece essere tanto
minore in caso di tecnologie a rapida obsolescenza, o in previsione
di forti variazioni di uso (es. potenziamenti radicali per grandi
aumenti di domanda del servizio espletato): quando cioè
è prevedibile che lopera vada comunque rifatta in tempi non
lunghi. Al limite, di unopera strategica che possa servire tal
quale praticamente per sempre, si potrebbe ipotizzare di mantenerla
nel cosiddetto regime illimitato di rinnovi. Cioè con un
recupero periodico pressoché totale. In tutte le suddette
ipotesi ho messo a punto da qualche tempo [3] per applicazioni
ingegneristiche una funzione analitica semplice, rappresentativa
del ciclo di vita dellasset, che risulta universale: indipendente
cioè dal valore delle variabili considerate. Questa funzione
universale, se si accettano le ipotesi - semplificative, ma non
irrealistiche di usare valori medi su basi pluriennali di dati, e
tassi di degrado lineari, ha il pregio di esprimere in sostanza un
moltiplicatore K della vita minima N. Moltiplicatore ottenibile con
una spesa costante media annua S per manutenzione ordinaria: da
cui, appunto, il valore teorico della vita nominale N (sempre
maggiore di N) della infrastruttura. Valore come detto da decurtare
in proporzione al livello di rischio limite ritenuto ancora
accettabile, al fine di pervenire a quella che le NTC 2018
definiscono vita nominale di progetto VN di unopera: nel senso che
se anche lopera teoricamente potesse arrivare a fine ciclo vita
dopo 100 anni, gli specifici livelli prestazionali richiesti
potrebbero risultare non più garantiti già dopo
poniamo sessanta anni. Orbene, la principale criticità di
siffatta funzione universale della manutenzione è la sua
spiccata non linearità: nel senso cioè che, per
esempio, a un dimezzamento della spesa annua per manutenzione la
vita nominale si riduce molto più di metà. E,
ciò che più è problematico, tale non
linearità aumenta esponenzialmente via via che le spese per
manutenzione si riducono (ovviamente con la singolarità di
non verificarsi in prossimità della soglia garantita N). Il
che, aggiunto alle intrinseche non linearità trascurate in
prima approssimazione (es. il degrado crescente), rende molto
pericolose le riduzioni eccessive dei costi di manutenzione, fino
ad approssimare sempre più repentinamente il collasso. Tale
critica non linearità pone quindi un problema tecnico
basilare e cruciale: chiunque sia il gestore, il decisore, il
controllore, per ogni tipologia di opera è irrinunciabile
fissare a priori una spesa minima annua per manutenzione e
controlli al di sotto della quale qualsivoglia contratto,
concessione o piano finanziario non consenta di scendere. Importo
che deve scaturire dalla stima dei fattori di sicurezza e dal
calcolo di quella percentuale equa sul valore attribuito allasset
affidato, cui i progettisti dovranno responsabilmente pervenire fin
dalla nascita dellopera, e che i gestori dovranno continuamente
verificare e aggiornare con adeguate diagnostiche e monitoraggi per
tutta la sua vita. La condizione di contesto La seconda condizione
è di contesto: vigilare non solo sugli asset, ma su
uninsidia. Lingegneria italiana, spesso allavanguardia delle
tecnologie nel mondo, ha dovuto infatti più volte scontare
nella nostra storia le conseguenze dei conflitti per le assunzioni
di responsabilità. Questo è uno dei punti deboli
della Terra del gattopardo attraversata da un tessuto fitto e
ambiguo di regole e competenze interferenti e contraddittorie. Ma
anche culla di tecnologie avanzate e di primati ingegneristici, in
cui però i tecnici sono sempre meno ascoltati, con la
conseguente deriva di un bias decisionale inquietante. Sì
che lunica via percorribile, magari anche suo malgrado, per chi
dovrebbe, è non decidere e lasciar che sia. In genere
funziona. Ricordate il Vajont? La giustizia in ventanni non
è riuscita ad attribuire responsabilità. Tra ventanni
sarà così anche per il viadotto di Morandi? Proviamo
allora a non dimenticare. Nel novembre del 1963 è da pochi
mesi aperto il cantiere per costruire il viadotto progettato da
Morandi sul Polcevera, quando scivola giù in una notte di
tregenda nellinvaso colmo del Vajont la frana del Monte Toc. Terra
e roccia scacciano lacqua, che scavalca la diga (capolavoro della
ingegneria italiana che ebbe paradossalmente la colpa di resistere
perfettamente, e sta ancora lì) e si lancia giù per
la valle del Piave disseminandola di migliaia di morti. Molti
sapevano che, sollecitato dal bagna-asciuga caratteristico del
funzionamento dei laghi artificiali, il Toc sarebbe venuto
giù. Accadde quella notte per la sciagurata fretta di
collaudare limpianto a pieno invaso, in modo da conferirlo al
massimo valore al neo costituito Enel ricavandone il massimo
profitto (ma levento sarebbe stato comunque incombente sulla
successiva gestione, perché del progetto Vajont si parlava
da decenni, e se non si era fin lì portato a compimento era
perché si sapeva che quel versante del Toc era malato). Quel
progetto andava abbandonato, e invece fu completato al
concretizzarsi della prospettiva di un liberatorio e
simmetricamente insidioso passaggio di responsabilità.
(Quella dei continui passaggi di proprietà nelle rinnovabili
è tra laltro divenuta oggi più la regola che
leccezione [4], [5]. Varrebbe forse la pena di scandagliare
analoghi possibili rischi. Ma questa è unaltra storia).
Passano altri cinquantacinque anni (cinquantuno dallinaugurazione)
e nellagosto del 2018 durante un fortunale viene giù anche
il viadotto sul Polcevera. Più di quaranta vittime. Una
ridda di ipotesi, indagini a tutto campo, manutenzioni senzaltro
insufficienti, una catena di sottovalutazioni. Molti sapevano che
quellacerbo prodotto della tecnologia avanzata italiana degli anni
del cemento era una struttura vulnerabile, curata radicalmente ma
solo in parte quasi venti or sono e poi non più, che sarebbe
venuta giù prima o poi e che levento andava avvicinandosi
sempre più velocemente. Molti sapevano che quel ponte ormai
poteva solo essere interdetto al traffico. Ma nessuno fino al
disastro si era assunto la responsabilità di sfidare le
leggi del mercato, anzi lintera collettività sul territorio:
le prevedibili veementi reazioni cioè delle amministrazioni
locali, dei cittadini, delle imprese, del sistema logistico, degli
utenti, degli azionisti. Per una cultura consapevole e moderna
della manutenzione Oggi, ormai da quasi ventanni è obbligo
normativo (ex art. 40 del DPR 554/1999 legge Merloni; e DPR
207/2010) corredare i progetti definitivi o esecutivi di un piano
di manutenzione. Ma negli anni sessanta lobbligo non era di legge:
era solo etico e deontologico nel caso di strutture ad alto tasso
di innovazione come quella sul Polcevera. Tutte le indicazioni che
Morandi ha a suo tempo lasciato (sulla base di quel che poteva
conoscere) circa procedure di manutenzione e di monitoraggio,
avrebbero dovuto: a) essere eseguite; b) comunque implementate nel
tempo via via che si veniva acquisendo maggiore esperienza sulle
audaci innovazioni introdotte. Ancora i casi sono due: o lo si
è fatto appieno, oppure non abbastanza (questultima ipotesi
equivale, vista la tragedia, a non averlo fatto). I due oneri sono
rimasti in capo alla parte pubblica fino alla attivazione della
concessione. Da quel momento, concessionario e concedente hanno
assunto conseguenti interrelate responsabilità. Con il
trascorrere del tempo, ora sappiamo che la manutenzione non poteva
che diventare via via più cruciale. Se, lungo questo albero
di alternative, ci sono state inadeguatezze o inadempienze, dal
progettista al manutentore, per il passato indagherà la
Magistratura. Ma per il futuro dovrà essere comunque
avvertita come priorità non più eludibile dalla
intera collettività nazionale una strategia consapevole di
come, quanto, fin dove manutenere il patrimonio tangibile sempre
più grande (e più vecchio) di cui disponiamo. Deve
anzi assumere i connotati di una cultura tecnica e comportamentale,
estrinsecata in progetti e documenti sostanziali e non meramente
formali, che vengano ineccepibilmente validati ed eseguiti. Una
cultura che appartenga, condivisa e indifferenziata, alla parte
pubblica esattamente come a quella privata. Agli addetti ai lavori
come agli utenti. Alle università come alle imprese.
Cè un tempo per tutte le cose. E cè un tempo per
tutti i driver di business. Cè stato il tempo del cemento
(anche con i suoi eccessi) di cui Morandi è stato creativo
audace protagonista, cemento che Paolo Savona ha storicizzato come
secondo motore dello sviluppo nel dopoguerra in Italia (il primo
essendo lesportazione manifatturiera). Cè stato (cè
ancora) il tempo dellacciaio, con i suoi eccessi come ponti del
nulla sul Tevere a Roma o per rimanere in tema autostradale
giganteschi e opinabili (anche a nord!?) frangisole allimbocco
delle gallerie dellAutostrada del Sole a sud di Firenze (sui quali,
detto per inciso, sarebbe opportuna qualche aggiornata verifica
statica cautelativa). Vorremmo tutti che il prossimo tempo fosse
quello della ragionevolezza e della serietà: di una
sostenibilità cioè nei fatti e non negli slogan green
di facile presa su sprovveduti e distratti. Una
sostenibilità fatta di durabilità e resilienza
garantite da una manutenzione consapevole e moderna. Ce la faremo?
NOTE [1] The Economist, Patch-up job. The art of maintenance,
October 20th, 2018. [2] Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti, DM 17/1/2018 - Aggiornamento delle Norme tecniche per le
Costruzioni, Supplemento ordinario alla G.U. n. 42 del 20 febbraio
2018 [3] A. Spena, Infrastrutture. Pubblico o privato? La
priorità è una strategia di manutenzione del
patrimonio, Quaderni di Legislazione Tecnica n. 4-2018, BLT, Roma,
2018. [4] L. Serafini, Gli impianti solari di Rtr passano a F2i. Il
ceo: Il settore si espanderà in Europa, Il Sole24Ore, 4
ottobre 2018. [5] C. Festa, Sorgenia, quattro banche in corsa per
il mandato alla cessione, Il Sole24Ore, 4 ottobre 2018.