oggiscienza.itDickinsonia, l’animale più antico del mondo
In occasione delle feste abbiamo pensato di occuparci di alcune
scoperte interessanti pubblicate nel 2018 delle quali non avevamo
ancora parlato. Continua con la paleontologia la nostra rassegna
con queste scoperte e innovazioni scientifiche che avevamo
dimenticato: ne abbiamo scelte 10. Crediti immagine: Wikimedia
Commons RICERCA Tra il Proterozoico superiore (635-541 milioni di
anni fa) e il Fanerozoico, lintervallo della vita visibile che si
estende fino allattuale (iniziato 541 milioni di anni fa), sono
comparse forme di vita complesse. Si trattava di organismi che
abitavano le acque marine basse, di dimensioni che raggiungevano
anche il metro e mezzo di lunghezza e molto diversificati,
rappresentanti probabilmente di gruppi polifiletici. Il nome con
cui sono più noti è biota di Ediacara, e le loro
testimonianze fossili sono state ritrovate un po ovunque nel mondo,
dallAustralia (i ritrovamenti sulle colline di Ediacara, nella
regione meridionale del Paese, hanno battezzato i fossili) al
Messico, dal Canada alla Russia. Sembra che non abbiano lasciato
discendenti: sono svaniti prima dellesplosione del Cambriano, circa
530 milioni di anni fa, quando compaiono i phyla di animali
complessi e con parti mineralizzate cui appartengono anche quelli
attuali. Per i paleontologi hanno a lungo costituito una sfida:
come vanno posizionati nellalbero evolutivo? Si trattava di
licheni, alghe, amebe giganti? O li si può considerare i
primi esperimenti di vita animale? A settembre, uno studio
pubblicato sulla rivista Science ha dimostrato che Dickinsonia, un
organismo emblematico del biota di Ediacara e risalente a 558
milioni di anni fa, conteneva steroli animali, composti lipidici
presenti nella membrana cellulare degli eucarioti. I primi animali
non sono dunque comparsi nel Cambriano bensì più di
20 milioni di anni prima; Dickinsonia ne è il rappresentate
più antico, o almeno il più antico di cui siano
rimaste tracce fossili. I fossili misteriosi La difficoltà
di classificare il biota di Ediacara è stata una sfida per i
paleontologi per oltre 75 anni. La loro biodiversità
è tutto sommato scarsa (si stima esistessero un centinaio di
specie) rispetto ai 35 milioni di anni di storia evolutiva e lampia
distribuzione, ma i resti trovati mostrano una grande
varietà morfologica. I fossili di Dickinsonia, il genere
più rappresentativo e di cui sono note cinque diverse
specie, sono la traccia di un organismo di forma ovale, in grado di
raggiungere il metro e mezzo di lunghezza, con una struttura
frattale formata da solchi disposti intorno a un elemento centrale
che potrebbe farci pensare alle foglie di alcune piante attuali. Si
trattava, inoltre, di un organismo sottilissimo: larea superficiale
era enorme rispetto al biovolume, per cui lo spazio per lo sviluppo
di organi era estremamente limitato. Questi elementi, uniti alla
mancanza di una chiara differenziazione dorso-ventrale e capo-coda,
non permetteva di attribuire con certezza Dickinsonia al regno
animale. Lo studio pubblicato su Science ha permesso di risolvere i
dubbi grazie allanalisi dei biomarker chiamati a volte fossili
molecolari, composti organici complessi che contengono lo scheletro
carbonioso, ossia la disposizione e numero di atomi di carbonio
della molecola originaria da cui provengono. Studiando quelli di
Dickinsonia, il team di ricercatori australiani, russi e tedeschi
ha scoperto una netta prevalenza di steroli animali (le ricerche su
un altro organismo di Ediacara, Andiva, non hanno invece portato a
risultati certi). I fossili molecolari per lo studio del passato Lo
studio dei biomarker in paleontologia è estremamente
interessante e molto difficile da perseguire, commenta Lucia
Angiolini, presidentessa della Società Paleontologica
Italiana e professoressa di Paleontologia e Paleoecologia
allUniversità di Milano. Innanzitutto, bisogna trovarli,
come spiega Ilya Bobrovskiy, primo autore dello studio e dottorando
allAustralian National University, in un comunicato. «La
maggior parte delle rocce contenti questi fossili, come ad esempio
quelle delle colline di Ediacara, sono state sottoposte a una gran
quantità di calore e di pressione e ne sono rimaste segnate.
E sono quelli i fossili studiati per decenni dai paleontologi, il
che spiega come mai erano ancora bloccati sulla questione della
vera identità di Dickinsonia». Ma la perseveranza dei
ricercatori li ha portati nelle regioni di Lyamtsa e Zimnie Gory,
in Russia, su una scogliera alta fino a cento metri affacciata sul
Mar Bianco. Ed è in quellarea remota che hanno rinvenuto
fossili particolarmente ben conservati, su cui è stato
possibile condurre le analisi dei biomarker che hanno permesso di
assegnare quellemblematico organismo al regno animale. Nel
Cambriano sono comparsi di colpo moltissimi animali che producevano
le parti scheletriche, le quali, ovviamente, aiutano molto la
conservazione. Al contrario, il biota di Ediacara raccoglie
organismi a corpo molle, continua Angiolini. I fossili trovati sono
infatti in iporilievo negativo, ossia impressioni concave alla base
degli strati: non avendo uno scheletro di sostegno, questi
organismi hanno subito una forte compressione durante i processi di
fossil-diagenesi. I resti si sono potuti conservare sia
perché sono rimasti sepolti subito dopo la morte dellanimale
o addirittura quando era ancora in vita, sia perché
nellEdiacarano (lultimo periodo del Proterozoico, che prende il
nome proprio dal biota di Ediacara) non vi erano organismi che
vivevano allinterno dei sedimenti e li elaboravano, spostando i
resti e portando ossigeno anche in profondità, rendendo
così difficile la conservazione, in particolare delle parti
molli. Ma unaltra grande difficoltà nellanalisi dei fossili
molecolari è rappresentata dalla contaminazione,
perché le tracce organiche sono disseminate nei sedimenti e
riflettono tutte le comunità biologiche che vivevano in
quellambiente; possono dunque non essere univoche. Gli autori dello
studio hanno compiuto un lavoro molto dettagliato ed esaustivo:
oltre a campionare il sottile film di idrocarburi che segue la
traccia di Dickinsonia, hanno analizzato anche i campioni sovra- e
sottostanti la traccia fossile, in modo da poterli confrontare,
spiega Angiolini. Il segnale trovato è molto forte: oltre il
90 per cento dei biomarker di Dickinsonia è di steroli
tipici del regno animale. Le alghe, ad esempio, sono caratterizzate
da steroli diversi, gli stigmasteroli; i batteri dagli opanoidi, i
licheni dagli ergosteroli. Un altro problema presentato dallo
studio dei fossili molecolari è che richiedono analisi nella
scala dei nanogrammi e quindi lutilizzo di strumenti ben precisi
come i gas cromatografi con spettrometri di massa. Nella comune
analisi paleontologica, il resto ritrovato può essere
descritto, identificato e contestualizzato per analisi
biostratigrafiche, biocronologiche, filogenetiche, paleoecologiche
e palebiogeografiche; qui invece si sconfina nellambito geochimico
e biochimico, ed è quindi necessario lavorare in team
multidisciplinari. Finora, infatti, questi studi sono rimasti casi
isolati e concentrati su resti eccezionali. Tuttavia, come dimostra
anche il lavoro di Bobrovskiy e dei suoi colleghi, le
potenzialità di questo tipo di ricerche sono enormi,
conclude Angiolini. Segui Anna Romano su Twitter Leggi anche: Dalla
medicina alla paleontologia con la tomografia a raggi X Pubblicato
con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5
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