astrolabio.itGli Impatti Ambientali delle Miniere negli Oceani
Nella prima parte dellarticolo, lautore ha indagato sullo
sfruttamento minerario dei fondali oceanici che si renderebbe
necessario al reperimento dei minerali indispensabili allattuazione
del Green New Deal e, in generale, alla proliferazione delle fonti
rinnovabili elettriche e della mobilità elettrica. In questa
seconda parte, tratta anchessa dal sito della Rete di Resistenza
dei Crinali, lautore si sofferma sui rischi accertati per lambiente
oceanico, sugli impatti ambientali ancora sconosciuti e sui
possibili danni al clima globale. Leggi anche "Si Salveranno gli
Oceani dal Green Deal?" Nella prima parte abbiamo visto come la
coltivazione di depositi minerali sul fondo marino preveda sfide
tecnologiche di assoluto rilievo: dal trasporto del minerale
tramite un meccanismo di sollevamento fino in superficie per anche
sei chilometri di colonna d'acqua, alla movimentazione delle
attrezzature sulla piattaforma mineraria in condizioni operative
estreme come quelle che si riscontrano a profondità comprese
tra uno e sei chilometri: altissime pressioni, da 100 a 500 bar,
basse temperature e forze fisiche come le correnti, le onde e le
condizioni climatiche, ad una distanza dalla costa, spesso
superiore a 1.000 chilometri. Questo comporta pesanti implicazioni
sulle metodologie estrattive e sui requisiti tecnologici: è
necessario disporre di un sito di stoccaggio per i minerali,
poiché i siti per il trattamento si trovano a grandi
distanze, tra 2.000 e 6.000 chilometri, con un tempo di viaggio dai
cinque ai quindici giorni oltre al tempo di carico e scarico (per
minerali, ricambi, carburante, manodopera e provviste) durante ogni
visita alla piattaforma mineraria. Tuttavia, la vera sfida risiede
nell'applicazione ed integrazione di nuove tecnologie, come
rilevamento tridimensionale, navigazione autonoma, manipolatori
robotici, facendole funzionare a pieno regime ininterrottamente per
300 giorni all'anno in condizioni estreme, dai fattori
meteorologici (precipitazioni, venti, cicloni) alle condizioni
idrografiche (alta pressione, bassa temperatura, correnti, mancanza
di luce naturale) operando in un ambiente, il fondale marino, la
cui topografia è spesso frastagliata con uno spessore e una
compattezza dei sedimenti variabili ed una distribuzione eterogenea
dei depositi. Tuttavia proprio per queste ragioni la prospettiva
dell'estrazione mineraria in alto mare è stata accolta con
severi avvertimenti da parte di scienziati e di importanti gruppi
ambientalisti, che hanno evidenziato il rischio di danni
irreversibili agli ecosistemi, parte dei quali non siamo ancora in
grado di comprendere compiutamente. La certezza che, a qualsiasi
scala, l'estrazione sul fondo marino esaurirà
sistematicamente risorse, disturberà, danneggerà o
rimuoverà elementi strutturali degli ecosistemi,
causerà la perdita di biodiversità e dei servizi
ecosistemici sta acquisendo un consenso crescente tra gli
scienziati marini. L'entità del danno potenziale è
difficile da prevedere perché la nostra comprensione del
biota marino di acque profonde rimane limitata. È anche
sconosciuta la misura in cui un ecosistema si riprenderà
quando cesserà l'attività mineraria e in quali tempi.
Le conseguenze ecologiche per la biodiversità del mare
profondo sono sconosciute ma saranno di carattere
intergenerazionale. Enormi parti del fondale marino, oltre 1,5
milioni di chilometri quadrati, sono già state autorizzate
per la prospezione mineraria, molti delle quali in aree con alto
valore di biodiversità. Una recente analisi scientifica[1]
dimostra che la perdita di biodiversità dall'estrazione in
acque profonde sarà inevitabile. Macchine minerarie
telecomandate in movimento, perforazioni e frese meccaniche
inevitabilmente causeranno danni fisici diretti al fondale marino e
perdita di biodiversità, rischiando l'estinzione di specie
endemiche che potrebbero non riprendersi mai dopo la distruzione
del loro habitat. È probabile che la maggior parte dei danni
arrecati duri per sempre su scale temporali umane, dati i tassi
naturali di recupero molto lenti negli ecosistemi colpiti. Esistono
differenze rilevanti sulle tecniche estrattive ed i conseguenti
impatti delle tipologie di depositi presenti. Sicuramente le
attività minerarie presso i camini idrotermali comportano un
rischio elevato per la vita marina che vi prospera: circa l'85%
delle specie endemiche che non si trovano in nessun altro luogo nei
nostri oceani. Tale è la loro biodiversità che gli
scienziati sono stati in grado di descrivere una media di due nuove
specie per ogni mese nei 25 anni dalla loro scoperta, compresi i
vermi tubicoli (Riftia pachyptila) che crescono fino a 2,4 metri di
lunghezza ed il granchio yeti (Kiwa hirsuta) che vive a una
profondità di 2.600 m attorno alle sorgenti idrotermali
nell'Oceano Antartico. Gli scienziati hanno avvertito che, in
quanto habitat rari a livello globale, le sorgenti idrotermali
dovrebbero essere protette, specialmente alla luce dei nostri bassi
livelli di comprensione delle caratteristiche della vita marina
nelle loro prossimità. Anche ricercatori di settori della
medicina hanno evidenziato come lattività mineraria potrebbe
interferire con le risorse genetiche marine che si trovato
nell'oceano profondo compromettendo il loro potenziale uso nei
medicinali come nuovi antibiotici o farmaci per combattere il
cancro. Una macchina da miniera con una fresa per fondali marini.
Il peso è stimato in circa 300 tonnellate. Fonte: Nautilus
Minerals Inc. Nonostante la crescente preoccupazione per gli
impatti dell'attività mineraria nei fondali marini, la
conoscenza degli effetti derivanti dal loro sfruttamento sugli
ecosistemi non è stata compiutamente analizzata e, spesso,
gli studi non sono supportati da prove empiriche degli impatti
complessivi. La priorità pertanto è la stima
analitica degli impatti sugli ecosistemi prima dell'inizio delle
attività estrattive ed a tal fine è necessario
superare lattuale incertezza derivante dalla scarsità di
dati. È probabile che gli impatti siano aggravati dalla
connessione dei sistemi oceanici e dal ruolo centrale dell'oceano
nei processi atmosferici su larga scala. Le specie di acque
profonde sono intrinsecamente vulnerabili ai cambiamenti ambientali
e le loro caratteristiche: una maggiore longevità, tassi di
crescita lenti, riproduzione in età avanzata e bassa
fecondità significano che molte specie degli oceani profondi
hanno una maggiore sensibilità alle attività umane.
Proprio le lacune nella conoscenza hanno portato i ricercatori a
sollecitare cautela e ad adottare un approccio precauzionale che
preveda una moratoria di 10 anni sulle attività minerarie al
fine di disporre di certezze scientifiche. La perdita di habitat e
degli organismi del fondo marino. Precedentemente abbiamo visto
come ci siano metodi di estrazione, come nel caso dei solfuri
polimetallici, che possono essere paragonabili all'estrazione a
terra richiedendo scavi massicci e la rimozione del substrato ma va
considerato anche il potenziale rischio di smottamenti sottomarini
attraverso la destabilizzazione dei sedimenti dovuto alle grandi
superfici interessate dall'estrazione di noduli. Pertanto
l'alterazione della topografia, dei substrati e delle
caratteristiche fisiche del fondo marino cambierà i flussi e
le caratteristiche fisiche della dinamica energetica dell'oceano su
scala sia locale che continentale. Ciò a sua volta
altererà l'idoneità degli habitat di nicchia creatisi
nel corso dei millenni consentendo alle comunità ed agli
ecosistemi di evolversi nei fondali marini e la loro rimozione
interromperà o rimuoverà le comunità cambiando
le proprietà fisiche e chimiche adatte a questi organismi.
Il cambiamento nelle caratteristiche dei fondali marini potrebbe
interrompere questi ecosistemi su scale temporali evolutive. La
rimozione dei substrati bentonici comporterà la perdita
dell'habitat di specie come polpi, pesci, crinoidi più
grandi e coralli che si trovano, ad esempio, all'interno di aree
con noduli di manganese nel Pacifico settentrionale e meridionale.
Le aree dove sono presenti i noduli polimetallici presentano una
maggiore diversità e densità di forme bentoniche
viventi sopra l'interfaccia acqua-sedimento (taxa epifaunali)
rispetto alle altre, evidenziando l'importanza dei noduli nel
mantenimento della biodiversità epifaunale nella zona di
Clarion Clipperton (CCZ). Depositi di solfuri polimetallici come
questi contengono importanti quantità di rame,zinco, oro e
argento. ©Nautilus Minerals Rilascio di sostanze tossiche e
metalli. L'estrazione di solfuri polimetallici esporrà le
superfici dei minerali di solfuro movimentati durante le operazioni
di scavo all'acqua di mare, con il risultato di innescare
l'ossidazione di questi solfuri e il rilascio di metalli pesanti.
Esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che metalli come il
ferro, rame e zinco, i componenti principali, ma non i soli, dei
solfuri presenti possono essere rilasciati rapidamente nell'acqua.
Le reazioni tra diversi minerali di solfuro hanno evidenziato la
dissoluzione preferenziale di solfuri di ferro e rame con gli esiti
di un rilascio continuativo di rame con implicazioni per la salute
dell'ecosistema attraverso il bioaccumulo e distruzione e perdita
di funzionalità delle cellule e degli organismi. Per i
noduli polimetallici e le croste di ferro-manganese è
probabile che gli effetti siano minori ma non è ancora noto
se ci saranno effetti tossici dall'estrazione mineraria in queste
aree. I metalli rilasciati si trovano in stati fisici diversi:
possono entrare nella soluzione / fase acquosa ed essere assorbiti
attraverso le branchie, la parete del corpo e il tratto digerente
degli animali esposti o alternativamente, possono adsorbirsi su
particelle di sedimenti o flocculati ed essere ingeriti e questa
è unipotesi estremamente realistica per i metalli rilasciati
durante la disidratazione del liquame minerale. Lo sfruttamento di
una concessione continuerà per anni o decenni e gli
organismi saranno soggetti ad esposizioni ai metalli che si
cronicizzeranno e che potrebbero essere ordini di grandezza
rilevanti, seppur inferiori alla dose letale, anche ad una distanza
considerevole dal sito coltivato: questo obbligherebbe a introdurre
percorsi di disintossicazione in risposta all'esposizione al
metallo. Per tutti tre i tipi di mineralizzazioni c'è il
rischio che il processo di estrazione, durante la fase di pompaggio
dal fondo marino alla superficie, rilasci ioni metallici nella
colonna d'acqua o nella scia bentonica creata dai veicoli minerari
o, a seguito della disidratazione sulla nave di superficie, in una
scia a mezz'acqua. Queste scie possono potenzialmente viaggiare su
distanze da centinaia a migliaia di chilometri quadrati, portando
con sé sostanze tossiche. Una scia a mezz'acqua può
influire sulla fotosintesi delle microalghe o sugli animali
all'interno della colonna d'acqua. I ricercatori del progetto MIDAS
(Managing Impacts of Deep Sea Resource Exploitation) un consorzio
di 32 università, istituti di ricerca e società
minerarie che tra il 2013 e il 2016 hanno condotto un'indagine
scientifica approfondita sulle potenziali conseguenze
dell'estrazione nei fondali marini hanno evidenziato
l'impossibilità di identificare precisi limiti di
tossicità per gli organismi marini batiali e abissali
esposti ai metalli a seguito delle attività estrattive. La
complessità è legata alla dipendenza della
tossicità dalle condizioni di temperatura e pressione, dal
fatto che i minerali rappresentano miscele complesse di ioni
metallici in diversi stati di ossidazione che saranno alterati in
modo differenziale e la complessità delle comunità
biologiche interessate e i loro stati fisiologici al momento
dellinterazione: questi sono i motivi per cui qualsiasi "limite di
tossicità" proposto difficilmente sarà preciso. Il
prototipo di una macchina per l'estrazione dei noduli
polimetallici. Credit: DeepGreen Metals. Inoltre non è
possibile applicare i limiti e le soglie tossicologiche attuali da
contesti di acque terrestri poiché la pressione e la
temperatura giocano un ruolo fondamentale nella chimica degli
oceani. Inoltre, i dati esistenti sulla tossicità
generalmente si basano su un singolo metallo presentato in un unico
stato di ossidazione mentre qui ci troviamo in presenza di miscele
complesse di metalli che sono specifiche per ciascuna area
coltivata e soggette ai cambiamenti de gli agenti atmosferici
chimici. Potrebbe quindi essere impossibile determinare in
laboratorio l'esatto potenziale tossico di un deposito minerale su
singoli metalli, o anche miscele metalliche rendendo pertanto
necessario valutare la tossicità dei singoli depositi
minerali in modo indipendente per identificare il potenziale
rischio tossico durante l'estrazione oppure più
semplicemente determinare attraverso rigidi controlli la
tossicità letale alla rinfusa di ciascun deposito di
minerale per un numero significativo di organismi biologici
campione in fasi fisiche rilevanti e, analogamente, si potrebbero
controllare le eventuali acque di ritorno dalla superficie a
seguito della disidratazione dei minerali prima che avvenga
qualsiasi scarico nell'oceano. Risulta comunque evidente da queste
considerazioni che, senza studi approfonditi, quindi in tempi non
brevi, sarà impossibile effettuare qualsiasi attività
senza mettere a rischio lesistenza della vita biologica dei fondali
marini, solo di recente la rivista NATURE ha pubblicato i risultati
di una spedizione scientifica multidisciplinare del 2015 nelle
acque circostanti le Isole Galapagos a profondità di oltre
3.300 metri dove sono state scoperte ed identificate trenta nuove
specie di invertebrati bentonici. Questa caratterizzazione della
megafauna invertebrata bentonica delle Galapagos è stata
possibile perché effettuata nelle acque protette della
Riserva Marina ma va tenuta in considerazione la prossimità
geografica del bacino del Perù (Perù basin)
caratterizzato da importanti depositi di noduli polimetallici: per
quanto esposto e per quanto vedremo sugli impatti delle scie di
sterili, risulta evidente il concreto rischio di inquinamento di
questarea qualora venissero avviate attività minerarie. Gli
impatti delle scie. Le scie rappresentano forse la fonte potenziale
più significativa di impatto ambientale: essenzialmente
trasportano particelle del materiale di sedimentazione dai siti
estrattivi direttamente alle aree adiacenti in base alle correnti
prevalenti ed alle turbolenze della colonna d'acqua sovrastante.
Gli impatti possono derivare da alte concentrazioni di particelle
all'interno della colonna d'acqua o dalla tossicità del
materiale, ma le soglie alle quali questi fattori portano a un
impatto significativo sono poco conosciute. Le correnti profonde
dei fondali sono intrinsecamente complesse e variabili, quindi la
loro comprensione è essenziale per essere in grado di
prevedere il comportamento delle scie causate dalle attività
minerarie e, considerando che non saranno visibili sulla superficie
dell'oceano, essendo contenute dalla stratificazione degli oceani
determinata dal contrasto tra le acque profonde e fredde e quelle
superficiali e calde, risulterà complesso mappare in modo
significativo in tre dimensioni il loro moto, strumento vitale per
una comprensione e previsione del loro comportamento e un
apprezzamento dei limiti delle assunzioni intrinseche. Gli impatti
dei sedimenti possono essere trasportati a enormi distanze dalla
sorgente. In termini generali, il mare profondo è un
ambiente a bassa energia con velocità notevolmente inferiori
a quelle più vicine alla superficie dell'oceano ma con scale
di variabilità brevi poichè la topografia del fondale
è causa della complessità nel modello di correnti e
turbolenze. Inoltre mentre la topografia fornisce un'influenza
locale esistono flussi, come correnti e vortici, che possono
risentire di variazioni di condizioni generate a migliaia di
chilometri di distanza dal sito perché la circolazione
profonda delle correnti oceaniche è ancora qualcosa di non
compiutamente esplorato. Pertanto gli impatti dei sedimenti possono
variare a causa della velocità di deposizione e della
dimensione delle particelle, quelle di dimensioni maggiori
tenderanno a depositarsi in prossimità del sito mentre le
particelle fini possono disperdersi anche a grandi distanze. Il
ciclo del carbonio. Gli oceani giocano un ruolo centrale nella
regolazione del clima terrestre e nella mitigazione del cambiamento
climatico, servendo come un importante dissipatore di calore e
carbonio. Il carbonio viene sequestrato attraverso processi
biologici e fisici che lo trasferiscono dall'atmosfera all'oceano.
La "pompa biologica" in cui la materia organica che affonda
nell'oceano, dove viene restituita al carbonio inorganico disciolto
e alle sostanze nutritive attraverso la decomposizione batterica,
si stima che trasferisca 5-15 miliardi di tonnellate di carbonio
ogni anno dalla superficie oceanica all'oceano profondo, giocando
un ruolo cruciale nel sequestro globale del carbonio. In media un
atomo di carbonio trascorre circa 5 anni nell'atmosfera, 10 anni
nella vegetazione terrestre e 380 anni nelle acque oceaniche
intermedie e profonde. Il carbonio può rimanere bloccato nei
sedimenti oceanici o nei depositi di combustibili fossili per
milioni di anni: sulla scala temporale di migliaia di anni, la
chimica dell'oceano determina essenzialmente la concentrazione di
anidride carbonica nell'atmosfera. Gli scienziati hanno scoperto
che i microbi, ad esempio i batteri, nelle parti più
profonde del fondo marino assorbono il diossido di carbonio e
potrebbero trasformarsi in una fonte di cibo aggiuntiva per altre
forme di vita in acque profonde, batteri viventi 4.000 metri sotto
la superficie nella zona di frattura di Clarion-Clipperton
consumano anidride carbonica trasformandola in biomassa in un
processo chemiosintetico. Circa 200 milioni di tonnellate di
anidride carbonica potrebbero essere fissate in biomassa ogni anno
da questo processo, pari a circa il 10% dell'anidride carbonica che
gli oceani rimuovono ogni anno, ed è quindi probabile che
costituiscano una parte importante del ciclo del carbonio nelle
acque profonde. Nodulo polimetallico accresciuto su un dente di
squalo rinvenuto a 5.000 metri di profondità. Foto VELIZAR
GORDEEV. Oltre alla loro ricca biodiversità, i camini
idrotermali costituiscono importanti aree in cui microrganismi
specificamente adattati a questi ambienti consumano e sequestrano
carbonio e metano, un gas a effetto serra con circa 25-50 volte la
potenza del biossido di carbonio. Uno studio del 2016, pubblicato
da 14 università e istituzioni oceanografiche, ha
evidenziato come il sequestro del carbonio dalle bocche idrotermali
sia ancora più "esteso nello spazio e nel tempo di quanto si
pensasse". Infatti, un autore dello studio ha avvertito che il
rilascio di metano sequestrato potrebbe essere "un evento climatico
apocalittico". Recenti scoperte scientifiche hanno inoltre rivelato
che la maggior parte del calore in eccesso derivante dall'aumento
nell'atmosfera di concentrazioni di gas serra è stata
assorbita dalle profondità dell'oceano, limitando
così in modo significativo gli impatti dei cambiamenti
climatici sulla superficie dell'oceano e sulla terraferma. Non
conosciamo ancora i processi biologici e biochimici fondamentali
alla base della pompa biologica, anche se ci sono prove che stimano
stia assorbendo il 10% del carbonio diossido che gli oceani
rimuovono ogni anno e le implicazioni in termini di perdita di
questo elemento del ciclo del carbonio sulla regolazione del clima
sono poco conosciute. Nonostante la loro importanza per l'uomo, gli
oceani sono un ambiente solo parzialmente compreso: sono stati
mappati grossolanamente ed appena il 15% del fondo oceanico
è definito in ogni dettaglio. Il mare profondo rimane in
gran parte sconosciuto ed i tassi di scoperta di nuove specie e
habitat rimangono alti. Le lacune nelle conoscenze scientifiche
pertanto non permettono di valutare correttamente lentità
delle alterazioni al servizio ecosistemico del sequestro di
carbonio e poco si comprende degli impatti sui nutrienti e minerali
dal disturbo dei processi geologici e geochimici naturali che
controllano ed influenzano questi processi in relazione
all'estrazione dei fondali marini. In questo ambito si inquadra
pertanto il rischio climatico del rilascio di carbonio
immagazzinato in sedimenti marini profondi: l'estrazione in mare
potrebbe disturbare fisicamente i sedimenti, interrompendo il
sequestro del carbonio e risospendendo il carbonio immagazzinato
nell'acqua. L'estrazione in acque profonde rischia quindi di
influenzare longevità e tasso di sepoltura del carbonio nei
sedimenti di acque profonde. Inquinamento luminoso ed acustico.
L'impatto del rumore sugli ecosistemi di acque profonde è
pressoché sconosciuto. C'è senza dubbio un rumore di
fondo costante, intermittente negli oceani rilevato dagli idrofoni
del NOAA posizionati nella parte più profonda dell'oceano.
Il campo sonoro ambientale è dominato dal suono dei
terremoti, sia vicini che lontani, dalle eliche delle navi, dai
richiami delle balene e dagli eventi meteorologici estremi come i
tifoni. Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere meglio
gli effetti del rumore aggiuntivo generato dai macchinari minerari.
Stabilire un livello di fondo per il rumore ambientale è
necessario per consentire agli scienziati di determinare se i
livelli nell'oceano stanno aumentando e come questo potrebbe
influenzare gli animali marini, come balene, delfini e pesci che
usano il suono per comunicare, navigare, e nutrirsi. L'inquinamento
luminoso è una preoccupazione crescente negli ambienti
marini: le acque abissali più profonde al di sotto dei 4.000
metri sono completamente buie tranne che per la bioluminescenza. Le
specie in questi ambienti si sono adattate a queste condizioni di
oscurità e potrebbero essere significativamente influenzate
dalle luci dei macchinari estrattivi. Si è scoperto che le
luci dei sommergibili con equipaggio che esploravano la dorsale
medio atlantica hanno danneggiato in modo permanente le retine dei
gamberetti di acque profonde. Tuttavia, non ci sono quasi
informazioni sui potenziali effetti dell'inquinamento luminoso su
queste specie ed anche questi impatti devono essere quantificati.
Impatti diretti: danno inevitabile ed irreversibile. Nel 1989, un
gruppo di ricercatori tedeschi simulò i disturbi legati
all'attività mineraria a 4.000 m sotto la superficie
dell'oceano, arando un'area di fondale marino di 3,5 km di
larghezza con un erpice aratro nel Pacifico orientale tropicale, a
circa 3000 km al largo della costa del Perù. Si è
recato in quellarea un team internazionale del Max Planck
Institute, dell'Università di Edimburgo, per valutare gli
effetti di quellesperimento ventisei anni dopo, riscontrando che le
tracce dell'aratro erano ancora presenti. Precedenti studi avevano
dimostrato che l'abbondanza e la densità microbica avevano
subito cambiamenti duraturi in quest'area. Hanno riscontrato
significativi effetti a lungo termine dell'esperimento di
simulazione mineraria del 1989. Soprattutto la parte microbica
della catena alimentare è stata pesantemente colpita e, pur
essendo noti i microbi per i loro rapidi tassi di crescita, il
ciclo del carbonio nel cosiddetto ciclo microbico è stato
ridotto di oltre un terzo. L'impatto dell'attività mineraria
simulata sugli organismi superiori era più variabile. Mentre
alcuni animali sembravano stare bene, altri si stavano ancora
riprendendo dal disturbo, anche decenni dopo. Se l'estrazione
simulata ha determinato un cambiamento nelle fonti di carbonio per
gli animali il disturbo causato dalla vera attività
mineraria nei fondali marini sarà molto più pesante
di quello che si sta osservando ora moltiplicando così gli
effetti che, quindi, potrebbero portare a risultati imprevedibili,
portando i tempi di recupero a dimensioni di carattere
intergenerazionale. Un patrimonio umano comune o un catalizzatore
per i conflitti? Gran parte dei siti estrattivi dei noduli
polimetallici si trova al di fuori delle zone economiche esclusive
(EEZ) pertanto i siti sono controllati dalla Convenzione delle
Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) e lattività in
tali aree, di patrimonio comune, deve essere portata a beneficio
dell'umanità nel suo insieme. Ma l'estrazione può
anche avvenire all'interno dei confini nazionali di alcune EEZ del
Pacifico come le Isole Cook e Kiribati, sollevando domande su come
valutare i costi ambientali e sociali a fronte di ipotetici
benefici economici. È stato sostenuto che tali valutazioni
dovrebbero essere condotte da esperti indipendenti e dovrebbero
prendere in considerazione una giusta ed equa distribuzione della
ricchezza così come il valore ambientale a lungo termine
degli ecosistemi di acque profonde. Le economie del Pacifico e le
loro comunità saranno la prima linea a subire gli effetti
qualora si dovesse procedere con l'estrazione mineraria: queste
popolazioni dipendono fortemente dalla salute del loro oceano da
cui ricevono cibo e reddito attraverso la pesca ed il turismo,
settori già altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici.
Viene obbiettato che lo sfruttamento dei giacimenti sui fondali,
sviluppato in acque profonde e lontano dalle coste, avrà un
impatto minimo sulle comunità e sulle loro attività
economiche tuttavia, in molte culture del Pacifico, le generazioni
sono viste come custodi - non proprietari - delle risorse marine,
con la responsabilità di mantenerle e migliorarle per le
generazioni future e, per questi popoli, i diversi ambienti
oceanici costituiscono un continuum, dove gli abissi sono collegati
agli ambienti marino-costieri. Molte delle tensioni sperimentate
con le miniere terrestri stanno già riproponendosi con
quelle sui fondali marini: nella Papua Nuova Guinea, una petizione
e numerose rappresentanze della società civile chiedono al
governo nazionale e provinciale di porre fine alle attività
minerarie. In Nuova Zelanda, un'ampia coalizione delle
organizzazioni comunitarie si è unita per fermare
l'estrazione nelle acque territoriali del paese (EEZ), vincendo una
causa in Corte d'Appello per impedirla nella Taranaki Bight. Nelle
Isole Cook, organizzazioni comunitarie hanno commissionato studi
indipendenti per presentare punti di vista alternativi e per
stimolare un approccio cauto ed informato tra gli abitanti delle
isole del Pacifico. Nel 2019, la Conferenza delle Chiese del
Pacifico ha approvato una risoluzione per ottenere una moratoria
nel Pacifico delle attività minerarie e, analogamente, in
risposta alle preoccupazioni espresse dalla società civile,
il presidente delle Fiji, sostenuto dal primo ministro di Vanuatu e
dal primo ministro della Papua Nuova Guinea, ha chiesto una
moratoria di dieci anni nelle acque nazionali del Pacifico. Sono
decine le iniziative di questo tipo già intraprese.
Cè chi suggerisce che l'industria mineraria potrebbe
generare ricchezza per i governi e, attraverso canoni di
concessioni e royalties, potrebbe far progredire gli obiettivi di
sviluppo di queste piccole nazioni. Tuttavia, la fattibilità
finanziaria di queste operazioni deve ancora essere dimostrata e le
incertezze presenti indicano che la loro redditività
è lungi dall'essere assicurata. In passato queste iniziative
hanno comportato notevoli perdite economiche per le società
minerarie: l'unico progetto a cui, fino ad oggi, è stata
concessa una licenza operativa ha provocato l'opposizione della
comunità e, quando è fallito, ha comportato, come
vedremo nella terza parte, una significativa perdita finanziaria
anche per il governo della Papua Nuova Guinea. I proventi delle
miniere terrestri su larga scala possono fornire i fondi necessari
per l'istruzione e l'assistenza sanitaria, migliorare i mezzi di
sussistenza e sostenere lo sviluppo delle imprese con effetti
positivi "a valle" ma, nella regione del Pacifico, spesso non sono
riuscite a fornire vantaggi alle comunità ed alle economie
nazionali ed hanno causato danni significativi rivelandosi progetti
minerari fra quelli storicamente più disastrosi del mondo,
dal punto di vista sociale e ambientale. Smaltimento di rifiuti
tossici dalla miniera di rame e oro della BHP Billiton nella Papua
Nuova Guinea. Sono stati scaricati in media 20 milioni di
tonnellate di rifiuti nel sistema fluviale ogni anno, mettendo a
rischio di distruzione oltre 6.600 chilometri quadrati di
vegetazione. A seguito delle azioni legali BHP Billiton ha
trasferito la proprietà a un fondo fiduciario, fornendo
fondi per lo sviluppo in cambio dell'immunità legale.
Generalmente, anche i vantaggi derivanti dall'estrazione mineraria
terrestre non sono distribuiti equamente e le comunità
locali più colpite, spesso, non sono adeguatamente
compensate. Ma, lo sfruttamento dei fondali marini presenta
caratteristiche tali da ridurre ancora il potere contrattuale dei
governi nazionali per negoziare la partecipazione agli utili e per
il rispetto delle normative. Infatti, si prevede che queste
attività abbiano vita relativa